25.07
Parigi allo scoperto dopo la morte di due militari nel Paese per mano di Daesh
Il ruolo della Francia nella catastrofe sociale, economica e umanitaria di uno dei Paesi africani più moderni e sviluppati, risale a prima dello scoppio della guerra civile nel 2011. Le email personalidella oggi candidato democratico alla Presidenza Hillary Clinton, evidenziavano, nel aprile 2011, il ruolo della Francia nel manipolare le decisioni del Parlamento Europeo e nel trasformare il sistema di difesa comune NATO in un Esercito di invasione per deporre un Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Senza il supporto aereo della NATO, il Governo di Gheddafi sarebbe stato in grado di resistere alle forze ribelli creando una situazione simile al conflitto siriano con forti possibilità di vittoria.
L’intervento militare NATO non fu in difesa della popolazione libica ma degli interessi francesi minacciati. Due le priorità per l’Eliseo: distruggere il monopolio petrolifero della ENI in Libia e bloccare il progetto del Colonnello Gheddafi di sostituire la moneta coloniale FCFA (moneta comune imposta dalla Francia alle sue colonie africane) con una nuova moneta comune supportata da oro vero proveniente dalle riserve di Stato della Libia. Il FCFA è una moneta creata dalla Francia e imposta nel 1947 alle sue colonie africane. Trattasi di un sistema di totale controllo finanziario ad esclusivo vantaggio della Francia. Il FCFA impedisce ai Paesi africani sotto dominio francese una politica indipendente in termini finanziari, obbligandoli ancora oggi a pagare la ‘tassa coloniale’. Milioni di Euro che affluiscono alla Banca Centrale di Parigi. Anche le riserve di valuta pregiata dei Paesi africani sono obbligatoriamente custodite presso la Banca Centrale francese, che determina quantità e tempistiche di erogazione fondi ai Paesi legati al FCFA, moneta legata all’Euro e stampata a Parigi. Infine, il sistema FCFA permette che i prezzi delle materie prime siano stabiliti unicamente dagli operatori economici francesi.
«L’e-mail del Segretario di Stato Hillary Clinton dell’aprile 2011 identifica nel Presidente francese Nicholas Sarkozy il leader dell’attacco alla Libia basato su tre obiettivi: ottenere il controllo assoluto delle riserve petrolifere libiche, impedire il rafforzamento della influenza del Colonnello Gheddafi in Africa, rafforzare il dominio militare francese nell’Africa Francofona. Il pericolo maggiore che ha spinto il Governo Sarkozy ad intervenire a favore della ribellione fu il progetto di Gheddafi di creare una moneta africana che sostituisse il FCFA. Il nuovo sistema monetario (denominato Dinaro in Oro), se fosse stato attuato, avrebbe avuto credibilità internazionale in quanto basato sulle riserve aurifere libiche, all’epoca stimate a 143 tonnellate equivalenti ad oltre 7 miliardi di dollari. Il piano del Dinaro in Oro fu scoperto dai servizi segreti francesi all’inizio della rivolta e rappresentò il fattore decisivo per la decisione del Presidente Sarkozy di attaccare la Libia utilizzando la NATO. L’operazione di pura conquista imperiale fu camuffata da intervento umanitario, esagerando i crimini commessi dal regime e nascondendo quelli commessi dalla ribellione». Queste le rivelazioni di Sideny Blumenthal (consulente di Hillary) fatte lo scorso gennaio al ‘The Foreign Policy Journal‘.
Il sostegno militare francese alle milizie del Generale Haftar potrebbe rivelarsi un errore strategico dalle conseguenze internazionali incontrollabili. Il Generale Haftar é finanziato da Egitto, Arabia Saudita, Qatar e Turchia (alleati francesi nella guerra contro il Governo siriano). Gli intrecci tra gli islamisti libici e Haftar sono evidenti. L’attuale conflitto contro il DAESH non deve trarre in inganno. Molti analisti africani identificano il conflitto Haftar-DAESH come un scontro per l’egemonia del futuro Stato Islamico libico. Entrambi gli attori, finanziati dalle stesse potenze arabe, intendono far sorgere dalle ceneri della Libia un terribile Stato islamico radicale a pochi miglia di mare dall’Italia. L’attuale conflitto è stato iniziato dal Generale Haftar per imporsi come unica autorità islamica radicale nel Paese. I suoi discorsi apparentemente moderati e il ruolo assunto nella lotta contro il terrorismo islamico sarebbero dei stratagemmi per acquisire il supporto e i soldi dell’Occidente.
La politica francese in Libia è favorita da un storico alleato di Parigi che ha svolto il lavoro sporco in difesa degli interessi geo-strategici francesi nella Repubblica Democratica del Congo per sei anni, l’Inviato speciale ONU per la Libia, Martin Kobler, all’epoca al comando della missione militare ONU in Congo, MONUSCO. Kobler, durante il suo precedente mandato in Congo, ha clamorosamente fallito il compito di protezione della popolazione civile all’est che da 15 anni è ostaggio e schiava di 40 milizie armate ribelli, validi soci d’affari del Presidente Joseph Kabila. Kobler ha contribuito a soffocare ogni tentativo democratico politico e militare di abbattere il regime dittatoriale della Famiglia Kabila, e ha contribuito a rafforzare le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda – FDLR, permettendo a questa formazione terroristica (tramite complicità politiche e militari) di controllare il 42% del territorio congolese ad est e di diventare il principale attore politico e militare nella crisi burundese. Durante il mandato ONU di Kobler in Congo gli effettivi delle FDLR sono passati da 3.000 a 12.000 uomini ben armati e con ingenti mezzi finanziari grazie allo sfruttamento illegale di oro, coltan e diamanti del Congo in cui fin troppi ufficiali e civili ONU della MONUSCO sono stati coinvolti fin dal 2009. Ora Martin Kobler continua a garantire i suoi preziosi servizi a Parigi gestendo la crisi libica a favore degli interessi francesi.
Nel complicato conflitto libico, creato e alimentato dalle potenze occidentali, si assiste a un cinico disinteresse delle minoranze etniche, in special modo quella Berbera minacciata da sterminio totale. I Berberi sono una etnia indigena del Nord Africa (Libia compresa) che si considerano arabi. Il Colonnello Gheddafi per anni ha oppresso e sterminato i Berberi sia a eliminandoli fisicamente sia distruggendo la loro lingua, cultura e tradizioni. Nel caos libico i Berberi controllano la zona nord: Dejbl Nfousa e Zuara, creando il Consiglio Supremo dei Berberi della Libia, votato democraticamente da tutti i berberi libici. Il Consiglio non riconosce il Governo di Tobruk e il GNA di Tripoli ed è difeso da delle milizie berbere pesantemente armate.
Khalid Ait Khardi, attivista per i diritti umani, ricercatore e traduttore berbero originario del Marocco e membro della Associazione Culturale Berbera di Milano, spiega la situazione di questa minoranza etnica minacciata da estinzione sulle pagine di Geo Education.Org. «I Berberi di Libia chiedono uguaglianza tra tutti i libici, vogliono il riconoscimento della lingua berbera come lingua ufficiale, vogliono studiare la loro lingua nelle scuole e festeggiare le loro festività. Molti Berberi di Zuara hanno raggiunto i “Gaddafa” a Sirte per combattere contro gli integralisti dell’ISIS e altri Berberi di Dejbl Nfousa aiutano e sostengono gli anziani e bambini fuggiti in Tripolitania dai massacri degli integralisti islamici. Tutti hanno notato la crescita dei gruppi estremisti islamici in certe zone, come Bengasi e la capitale libica, Tripoli, mentre questi non hanno trovato spazio nelle città e nelle zone abitate dai Berberi che gli estremisti islamici considerano infedeli in quanto la maggior parte delle regioni berbere professano la dottrina ibadita, una “terza via” tra sunniti e sciiti. Per il popolo Berbero in Libia la situazione del dopo Gheddafi non è cambiata molto; non hanno firmato agli accordi in Marocco tra il Congresso Nazionale Generale e il Parlamento di Tobruk preferendo la neutralità e l’autonomia nell’attesa che vengano riconosciuti uguali diritti a tutte le popolazioni oggi rappresentate in Libia. In questo contesto va detto, infine, che la posizione della comunità Berbera nei confronti dall’attività dell’inviato del ONU Martin Kobler è decisamente critica non rinvenendo in essa un’equidistanza dalle parti in causa».