03.08
I raid aerei statunitensi contro le postazioni dello Stato Islamico a Sirte (operazione Odyssey Lightning) aprono a sviluppi non necessariamente positivi per la crisi libica, la guerra globale contro il Califfato e per l’Italia.
La decina di attacchi effettuati dai cacciabombardieri AV-8B Harrier e dagli elicotteri da attacco AH-1Z Super Cobra dei Marines decollati dalla portaelicotteri da assalto anfibio USS Wasp, non sono certo le prime incursioni aeree statunitensi contro lo Stato Islamico in Libia, già colpito nel febbraio scorso dai cacciabombardieri F-15E decollati dalle basi in Gran Bretagna che distrussero il campo d’addestramento dell’IS a Sabratha, non lontano dal confine tunisino uccidendo un comandante e una quarantina di miliziani oltre a due ostaggi serbi.
Nella città che diede i natali a Muammar Gheddafi i “misuratini” sono entrati in azione in giugno ma dopo i primi successi sono rimasti inchiodati senza riuscire a conquistare il centro città dove almeno un migliaio di miliziani del Califfato oppongono con successo una strenua resistenza mentre altri 2 mila almeno si sarebbero dispersi nelle zone desertiche a sud della città e almeno un migliaio sarebbero stati uccisi.
I combattenti del Califfo si sono rivelati in più occasioni superiori ai loro avversari. L’anno scorso respinsero agevolmente il primo raffazzonato tentativo delle forze di Misurata di raggiungere Sirte. L’attuale offensiva, scatenata con il supporto dell’intelligence e delle forze speciali anglo-americane, ha indotto i jihadisti a trincerarsi nel centro della città infliggendo severe perdite ai miliziani di Misurata.
Perdite che secondo alcune indiscrezioni avrebbero scoraggiato a tal punto le milizie filogovernative da indurle a rinunciare alla conquista casa per casa dei quartieri di Sirte ancora in mano allo Stato Islamico.
Guerra leggera
Pur non rivelando il nome del paese in questione era parso chiaro il riferimento alla Gran Bretagna le cui forze speciali (Special Air Service)erano state segnalate a Sirte da Quentin Sommerville, corrispondente della BBC e primo giornalista di una Tv occidentale a entrare in città dall’inizio delle operazioni contro lo Stato Islamico.
In giugno il Pentagono aveva ammesso la presenza in Libia di appena due dozzine di Berretti Verdi con compiti di consulenza ma non di combattimento: per metà schierati a Misurata e per metà a Bengasi in appoggio alle forze del generale Khalifa Haftar che risponde al governo laico di Tobruk e, pur in opposizione al governo di Tripoli, combatte le milizie jihadiste di al-Qaeda e dei Fratelli Musulmani tra Derna, Bengasi e Agedabia.
Con la richiesta di aiuto direttamente agli Stati Uniti al-Sarraj sembra voler rafforzare la su debole leadership anche se non è detto che l’abbraccio con Washington generi buoni frutti per il governo di salvezza nazionale.
I raid aerei americani sono limitati per intensità (4/5 al giorno) e per estensione temporale ai 30 giorni oltre i quali Obama dovrebbe chiedere un improbabile via libera al Congresso ad appena tre mesi dalla fine del suo mandato.
Sul piano politico rischiano inoltre di rivelarsi un boomerang per al-Sarraj che gode del sostegno di milizie islamiste, dai Salafiti ai fratelli Musulmani, che potrebbero non gradire l’intervento diretto delle forze di Washington minando così la sua base di consenso.
Forse proprio per questo lunedì il portavoce militare di Tripoli, generale Mohamed al Ghasri, ha detto che “chi è contrario all’intervento Usa sostiene in un modo o nell’altro l’Isis”.
Tra i decisi oppositori dei raid a stelle e strisce spicca il Consiglio supremo delle tribù e delle città della Libia che ha preso oggi posizione contro i raid Usa a Sirte contro l’Isis e definendoli un “intervento imperialista”.
Il Consiglio ha “chiesto all’Unione Africana (Ua) e ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu, tra cui Cina e Russia, di assumersi le loro responsabilità e proteggere il popolo libico, stimando che i raid americani saranno sfruttati dal governo di unità di Tripoli per colpire i suoi oppositori”.
“L’intervento straniero in Libia non lo accettiamo. Le decisioni prese dal governo di unità nazionale libico, che ancora non ha ottenuto la nostra fiducia, sono una violazione della Costituzione e dell’accordo politico” ha detto ieri Saleh.
Il risultato però è che oggi in Libia non vi sono forze internazionali sotto l’egida dell’Onu, come auspicava Roma, ma bensì piccoli contingenti britannici, statunitensi e francesi che perseguono interessi strettamente nazionali e non necessariamente coincidenti.
Proprio al-Sarraj (nella foto sopra), che gode dell’appoggio bellico diretto anglo-americano, aveva duramente criticato la scorsa settimana presenza di 160 militari francesi in Cirenaica, al fianco del rivale Haftar, scatenando nelle piazze di Tripoli quegli islamisti che potrebbero oggi non perdonargli gli stretti rapporti con gli Stati Uniti.
Le basi italiane
“Vedremo e valuteremo se ci saranno richieste” per l’utilizzo della base di Sigonella, “se prenderemo delle decisioni informeremo il Parlamento” ha detto ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che ha espresso l’auspicio che i raid aerei statunitensi su Sirte, roccaforte dello Stato Islamico in Libia, siano “risolutivi”.
Più esplicita la posizione illustrata oggi in Parlamento dal ministro della difesa Roberta Pinotti.
Il governo è “pronto a considerare positivamente un eventuale utilizzo delle basi sul territorio nazionale, se dovesse essere funzionale ad una più rapida ed efficace conclusione delle operazioni in corso” ha detto il ministro sottolineando che “ritiene che il successo della lotta tesa alla eliminazione delle centrali terroristiche dell’Isis in Libia sia di fondamentale importanza per la sicurezza non solo di quel Paese, ma anche dell’Europa e dell’Italia.
La decisione di Washington di rispondere da sola alla richiesta di intervento militare del premier di Tripoli, Fayez al-Sarraj, senza coinvolgere gli alleati della NATO e della Coalizione che in Siria e Iraq combatte il Califfato, evidenzia la volontà della Casa Bianca di mostrare muscoli e determinazione ma evidenzia anche quanto sia oggi marginale il ruolo dell’Europa e dell’Italia in una Libia sempre di più “terra di conquista” contesa da anglo-americani, francesi, turchi, e Paesi arabi coinvolti nella crisi, dall’Egitto al Qatar dalla Turchia agli Emirati Arabi Uniti che sostengono le diverse fazioni.
Pare infatti che anche i droni impiegati su Sirte siano decollati dalla lontana Giordania e non dalla base siciliana di Sigonella, aeroporto militare impiegato dalle forze aeree della Marina Usa e dai droni il cui utilizzo è stato ridefinito dal recente accordo bilaterale tra Washington e Roma.
Limitazioni che riguardano anche i 60 cacciabombardieri statunitensi basati ad Aviano, sottolineando il principio che ogni utilizzo a fini bellici di basi sulla Penisola devono essere autorizzati, caso per caso, da Roma.
Fonti ben informate sottolineano che il numero ridotto di incursioni effettuate in questi primi due giorni dai velivoli statunitensi sono gestibili con i cacciabombardieri Harrier e gli elicotteri Super Cobra imbarcati sulla portaelicotteri Wasp, mentre un eventuale incremento dei raid o un prolungato impegno bellico americano in Libia renderebbero molto probabili richieste di ampliare la libertà d’azione dei velivoli di Washington quanto meno a Sigonella e forse anche a Pantelleria, isola che per ora ospita nel suo aeroporto in caverna velivoli spia statunitensi che sorvolano la Libia per intercettare le comunicazioni dei jihadisti.
Quale ruolo per Roma?
Del resto i rapporti strategici tra Italia e Stati Uniti sono da mesi caratterizzati da un continuo rimpallo tra le richieste americane per un impegno bellico delle forze italiane contro lo Stato Islamico, dall’Iraq (dove i nostri jet e droni volano disarmati con compiti limitati a intelligence e ricognizione) alla Libia, e le pretese di Roma di non farsi coinvolgere in azoni di combattimento.
Una posizione che ha irritato più volte Washington ma che ha di certo contribuito a evitare alla Penisola rappresaglie dei terroristi islamici.
A Roma forse valutano anche il rischio che l’intervento americano si riveli un boomerang dipingendo al-Sarraj agli occhi delle milizie e dei partiti islamisti che finora lo hanno sostenuto come una “marionetta” degli americani.
Il rovescio della medaglia
Anche se l’Italia decidesse di partecipare all’offensiva aerea guidata dagli USA su Sirte il suo ruolo apparirebbe irrimediabilmente quello di gregario, tenuto conto soprattutto che Matteo Renzi ha sempre escluso “avventure militari” in Libia e non offrirebbe forse contropartite bilanciate col rischio di esporre la Penisola a rappresaglie terroristiche.
Una marginalità evidenziata anche dal rifiuto di al-Sarraj di fermare i flussi di migranti illegali e di accettare il loro respingimento sulle coste libiche.
L’Italia ha finora sostenuto al-Sarraj senza incassare alcuna contropartita ed è difficile non fare caso che mentre ha chiesto l’aiuto agli USA per la guerra all’IS, al-Sarraj si è ben guardato dal chiedere alle flotte italiana ed europea di colpire nelle acque territoriali e sulle coste libiche i trafficanti di immigrati clandestini.
D’altra parte la missione navale europea Eunavfor Med valuta che circa la metà del Pil della Tripolitania sia oggi rappresentato dai traffici di esseri umani verso l’Italia che arricchiscono quindi le stesse milizie e tribù che sostengono il governo di al-Sarraj.
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