La Libia è uno Stato Fallito alle porte della regione mediterranea, chiave di volta della politica estera italiana e questione fondamentale per l’ottimizzazione della sicurezza nazionale negli ultimi anni.
Alpha Institute ha cercato di fare chiarezza sul percorso che potrebbe portare all’apertura di un’operazione militare occulta per arginare il cedimento della struttura politico-sociale del Paese in attesa di una missione di più ampio respiro.
15.03-15.04.2016
In relazione a tale scenario Il Generale PIACENTINI Luciano, ex comandante delle forze speciali del “Col Moschin” e per molti anni in servizio negli organismi di informazione e sicurezza, e la nostra analista militare, la Dott.ssa SERANGELO Denise, hanno fatto il punto della situazione.
PARTE 1 – LIBIA: INTELLIGENCE E FORZE SPECIALI NELLE OPERAZIONI OCCULTE
Il mosaico etnico-tribale, tenuto insieme per poco più di 42 anni dal colonnello Muammar Gheddafi, che si articola in inestricabili divisioni etniche, nell’ambito di circa 140 tribù – che possono essere poste a premessa della cause principali della rivolta contro il Rais – dopo la caduta del regime hanno ripreso forza e vigore dando vita a oltre 200 fazioni armate, il cui unico desiderio era ed é conquistare una “fetta” delle risorse energetiche libiche (petrolio e gas).
Sono passati cinque anni ormai e la situazione cristallizzata nel 2011 oggi è ancora così.
Vi è molta confusione e senza un Governo di Unità Nazionale è difficile prevedere un miglioramento concreto.
Il Governo di Unità Nazionale di cui si parla stenta a nascere, l’accordo sempre difficile perché le fazioni che si contendono il potere vedono minacciati i loro interessi e le loro conquiste.
Secondo la sua esperienza, vede possibile un reale accordo sui nomi e sugli obbiettivi di un esecutivo unitario per la Libia?
Mi spiace ammetterlo ma sono molto scettico circa la nascita di un Governo di Unità Nazionale in Libia, vi sono davvero troppi interessi ed ognuno guarda al proprio personale ritorno.
Perché questo accordo venga siglato e possa funzionare davvero, attorno al tavolo delle trattative dovrebbero sedere tutti coloro che rappresentano una parte del paese.
Uno dei problemi che continua a portare a fondo un eventuale Governo è proprio l’incapacità – o, meglio, la non volontà – di dialogo tra le varie parti in causa.
L’errore che si sta commettendo in Libia è stato compiuto in Afganistan nel 2001.
Nella Trattativa di Bonn, seguita alla sconfitta dei talebani – e volta a pianificare la ricostruzione ed il futuro del Paese – erano presenti tutti gli attori tranne i talebani medesimi, ritenuti terroristi. E dopo 15 anni, la situazione nel Paese è ben nota. Infatti l’Afghanistan è senza pace anche e soprattutto perché si é lasciata fuori dal dialogo una componente fondamentale: i talebani appartengono all’etnia pashtun – la maggioranza della popolazione, circa il 40% – ma non si sentono rappresentati.
L’altro grande problema è rappresentato dai negoziati avviati dall’ONU, all’origine viziati da interessi “occulti” con paesi terzi che minavano dalle fondamenta la credibilità dell’esecutivo: in più occasioni il Governo islamista di Tripoli – non riconosciuto ed appoggiato da Turchia e Qatar – ha denunciato l’ingerenza di Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto nell’appoggiare il Governo di Tobruk (riconosciuto). Su tali basi un Governo di Unità Nazionale non può essere credibile e soprattutto non può rappresentare tutte le parti in causa in modo equo.
Generale, il clima politico è decisamente ostile esacerbato da una grande tensione sociale, in un contesto geopolitico come quello libico che tipo di intervento armato possiamo auspicare per il Paese?
Un qualsiasi intervento militare sarebbe da evitare: qualora ci fosse una formale richiesta d’intervento dell’eventuale Governo di Unità Nazionale, una parte della Libia – non rappresentata all’interno dell’esecutivo – riterrebbe illegittimo l’intervento. E le suddette fazioni costituirebbero la minaccia più seria per i contingenti di qualsiasi paese, perché si coalizzerebbero in chiave anti occidentale per contrastare e cacciare la “forza straniera di occupazione”.
Inoltre, senza un Governo, la missione sarebbe assolutamente da escludere: sia per la mancanza di una Coalizione – ove coincidano gli interessi nazionali e di conseguenza gli obiettivi – sia soprattutto perché tali carenze costituirebbero l’amalgama delle suddette 200 fazioni volte, congiuntamente, a contrastare i Paesi ivi presenti (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia, qualora quest’ultima partecipasse).
Nell’ultimo periodo si è parlato sempre di più di un ritrovato equilibrio tra servizi segreti e Forze Speciali per migliorare la capacità informativa dell’Italia nel panorama libico.
Entrambi lavorano nell’ombra e sono tenuti ad una totale riservatezza, ma questa nuova liason potrà portare veri risultati?
La Comunità Intelligence riconosce alla nostra Intelligence sia un “radicamento” sul territorio libico per un suo retaggio – il “nostro giardino di casa” – sia significative capacità espresse e perfezionate nel tempo. Negli odierni scenari il fattore informativo umano costituisce, ancora una volta, la conditio sine qua non del successo. Presupposto indispensabile é che venga affidato l’appropriato ruolo alla Humint (Human Intelligence) senza la quale é difficile, se non impossibile, conseguire vantaggi sugli avversari. Si tratta di un dato tratto dall’esperienza sul campo e la “teorizzazione scientifica” non può fare a meno di tenerne conto.
Inoltre è auspicabile che gli interventi nei teatri operativi esteri siano concepiti con una procedura integrata, “comprehensive approach” – già “predisposta, collaudata e certificata”, con tutte le sue componenti in patria, ove è più facile e sicuro realizzarla, nel contesto di una maggiore integrazione interforze – di modo che civili e militari, nella piena osservanza dei rispettivi ruoli, possano collaborare pienamente ed efficacemente e siano in grado di conoscere e capire la cultura della popolazione locale che sono chiamati a sostenere e difendere.
In merito agli altri paesi che operano in Libia (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) la situazione è complessa ed è indispensabile la costituzione di una Coalizione tra questi – compresa l’Italia – ove, come già accennato, gli interessi nazionali siano coincidenti. In tale quadro, l’Intelligence andrebbe sviluppata mediante la costituzione di fusion centre (centro di fusione) a livello politico-strategico, ove confluiscano rappresentati politici degli Stati della suddetta Coalizione, con poteri decisionali al fine di:
- ricercare possibili intese fra le varie parti in causa della Coalizione e costituire un’unica entità politica che assuma le responsabilità decisionali conseguenti alle informazioni che l’apparato di Intelligence della stessa potrà ricercare e fornire;
- basare l’attività di Intelligence soprattutto su operazioni di diplomazia parallela, finalizzate a ricercare e sviluppare opera di mediazione;
- sottoporre le informazioni acquisite ad esperti analisti di intelligence della Coalizione affinché forniscano obiettivi da conseguire alla componente militare;
- definire in ordine prioritario e di importanza gli obiettivi da neutralizzare comunicandoli al comandante militare delle forze della Coalizione, per la successiva acquisizione.
Le ultime notizie salite alla cronaca vedrebbero l’Italia impegnata in attività militari e d’intelligence in territorio libico.
Un lavoro sinergico tra i due enti governativi che dovrebbe mitigare la situazione in vista di una missione militare futura.
Cosa può dirci di questa collaborazione? Come si sviluppa e come è stata resa possibile?
Il rapporto Intelligence e Forze Speciali è disciplinato dall’emendamento all’articolo 18 della legge relativa alla partecipazione dell’Italia alle missioni Internazionali (approvata nel novembre 2015). Emendamento che introduce, in un quadro di specifiche norme giuridiche e regolamentari, provvedimenti di natura intelligence. E ciò dà luogo ad un ossimoro concettuale tenuto conto dell’inserimento di procedure di intelligence in un contesto esclusivamente operativo di militari italiani all’estero in cui si fissano regole ben precise di ingaggio, procedure, comportamenti e applicazione di Codici Penali Militari di Guerra o di Pace, a seconda delle situazioni. Per contro, le procedure di Intelligence non possono essere preventivamente prestabilite, ma individuate di volta in volta a seconda della tipologia di avversari e della specificità delle situazioni. Nel merito va sottolineato che le procedure di intelligence sono ben diverse dalle operazioni delle forze speciali: pertanto si ritiene opportuno non confondere metodologie proprie degli apparati informativi per neutralizzare la minaccia avversaria – che tra l’altro sono segrete e non possono essere rivelate nemmeno a servizi amici – con attività di supporto operativo delle Forze Speciali per conseguire uno specifico obiettivo, già determinato, individuato e localizzato dell’Apparato Intelligence.
In sintesi, il compito degli Organismi di Informazione non é quello di reprimere reati o di effettuare operazioni da “Rambo” ma di individuare e prevenire e, quindi, contrastare quelle minacce che mettono in pericolo la salus rei publicae.
In sintesi, il Presidente del Consiglio potrà avere alle proprie dipendenze, di impiego e gerarchiche – limitatamente alle operazioni speciali “fuori area” e tramite il Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza (Dis) – anche gli incursori delle Forze Speciali ( da non confondere con le FOS – Forze per Operazioni Speciali ), peraltro escludendo il Capo di Stato Maggiore della Difesa (dal quale le Forze Speciali dipendono direttamente per l’impiego). Il suddetto personale è costituito dagli incursori del 9° rgt. “Col Moschin” dell’Esercito e di Comsubin della M.M. nonché dagli operatori del Gruppo Intervento Speciale (GIS) dei Carabinieri.
Le regole d’ingaggio (ROE) sono una delle parti più importanti in fase di pianificazione delle operazioni all’estero, soprattutto quando il teatro è così articolato come quello libico.
Diverse settimane fa sono state pubblicate delle indiscrezioni circa le regole con cui Forze Speciali e Servizi Segreti avrebbero operato. Cosa può dirci a riguardo per fare chiarezza?
Non mi risulta che siano stati attribuiti poteri – non previsti dalle leggi e dalla normativa in vigore – agli Organismi di Informazione e Sicurezza e/o alle Forze Speciali. Inoltre le norme del Diritto Internazionale (Umanitario e non) sono rispettate.
Nel prossimo approfondimento cercheremo di comprendere, con il Generale Piacentini, quali misure militari e politiche si potrebbero intraprendere in Libia che siano coerenti con gli obblighi internazionali contratti dall’Italia con i partners NATO ed europei.
La Libia ha un nuovo Governo di Unità Nazionale, per molti è solo l’ennesimo caso di autorità imposta altri credono davvero che possa assolvere al compito arduo di riportare la stabilità nel Paese.
Potrebbe dirci in base alla sua esperienza cosa ne pensa?
Non sono molto ottimista su questo neonato governo – la cui missione di Serraj appare molto complessa – che si trova ad operare nel seguente scenario:
- non è rappresentato da tutti gli “attori” presenti nel Paese, ivi inclusa un terzo della popolazione;
- Serraj non ha ricevuto la fiducia del parlamento di Tobruk (peraltro riconosciuto, a suo tempo, dalle Nazioni Unite come il solo legittimo nella Libia).
Il generale Haftar – in contrasto con il neonato Governo, sostenuto da un notevole numero di parlamentari di Tobruk ed appoggiato dall’Egitto – avrebbe un piano per la separazione della Cirenaica;
- significativa entità numerica di fazioni e di polazione scontenta, nel più ampio contesto delle oltre 140 etnie presenti.
Tale scenario è altresi completato dall’intervento sulla Libia, diretto o indiretto, di Paesi con interessi nazionali contrapposti o non convergenti.
In relazione a quanto delineato, temo che occorra tornare al tavolo delle trattative.
Generale Piacentini, considerato che l’Italia non ha intenzione di aprire una vera e propria missione militare in terra libica l’ipotesi più accreditata è quella di un programma di Training per le nuove Forze Armate, potrebbe dirci cosa pensa di questa opzione? E’ praticabile in uno scenario come l’attuale Libia?
Il nostro Paese è già stato ed è tuttora impiegato in questa attività – con team di propri istruttori – in Iraq ed in Afghanistan con risultati pienamente soddisfacenti.
In Iraq i curdi stanno ricevendo l’addestramento da poco più di un anno e contestualmente contrastano con efficacia l’autoproclamato stato islamico grazie ai nostri insegnamenti. Così come in Afghanistan, i militari hanno fruito della formazione da parte degli istruttori italiani: in questo caso i risultati sono tangibili.
La Libia è però un’altra storia: sono del parere che solo quando vi sarà un Governo regolarmente eletto si potrà avviare la formazione per le Forze Armate.
Personalmente sono una grande sostenitrice dell’Approccio integrato italiano nelle aree di crisi, vedrei la sua applicazione molto bene nell’attuale scenario libico.
Una missione composta al 50 % dalla componente militare e dall’altro 50% da personale ausiliario che si dedica a questioni socio-sanitarie potrebbe essere una via percorribile?
Nell’attuale scenario libico, complesso, caotico e caratterizzato da diffusa instabilità, ritengo sia prematuro parlare di comprehensive approach – che comunque condivido pienamente, ma in un quadro di condizioni di sicurezza diverse dalle attuali – tenuto conto della molteplicità di attori sia interni alla Libia stessa (le oltre 200 fazioni) sia esterni rappresentati dai Paesi che su quest’ultima non palesano i propri “appetiti”. Ne deriva il seguente quesito: la Libia rimarrà uno Stato unitario o si trasformerà in una nuova realtà con la separazione delle tre Regioni – Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – come frequentemente si ipotizza? Qualora rimanga uno Stato unitario, occorre considerare che i tempi necessari per un governo regolarmente eletto sono lunghi. Nel merito ritengo che l’unica possibilità di porre fine alle correnti divisioni e conflittualità passi inevitabilmente attraverso il dialogo e la mediazione a cui seguono la riconciliazione nazionale – in una situazione in cui circa un terzo della popolazione viene marginalizzata – nonché il disarmo. Raggiunti tali traguardi, si avvia poi il processo politico.
Generale, è impossibile parlare di Libia senza pensare allo Stato Islamico che si sta radicalizzando sempre di più. Quali sono le notizie che può fornirci circa l’attuale rapporto tra la popolazione libica e Daesh?
La situazione è davvero così critica come si tende a dipingerla oppure è solo preoccupazione prematura?
Il cosiddetto stato islamico è una realtà – sia interna alla Libia sia in prossimità delle sue porte – sempre più evidente. Sono convinto che più si si rimanda il contrasto nel tempo, più le radici si consolideranno, maggiori saranno le difficoltà per debellarlo.
L’intervento per arginare tale fenomeno è ineludibile e prioritario per due ragioni: la prima è quella di ostacolare Daesh nel conseguire accordi volti ad alimentare le fila dei suoi adepti:
- sia con le con le fazioni locali contrarie al neonato governo Serraj, quest’ultimo già definito da Ansar Al Sharia – una formazione terrorista di matrice jihadista vicina all’autoproclamato stato islamico – il “Karzai della Libia”. In sintesi, un riferimento all’ex Presidente dell’Afghanistan sostenuto, nel corso del suo mandato, dagli Stati Uniti per contrastare i talebani;
- sia con la popolazione locale, cavalcandone il malcontento diffuso e mai tenuto in considerazione né dalla Libia né dai Paesi con propri interessi nazionali rivolti su quest’ultima.
In secondo luogo Daesh stesso ha subito un duro colpo in Siria ed in Iraq ove attualmente è sulla difensiva: Daesh, dunque, è costretto a trovare una valida alternativa – cioè la Libia – a questi due Paesi.
Occorre considerare che la Libia stessa è un immenso giacimento di risorse energetiche (petrolio e gas) preziosissime a Daesh per per alimentare la sua macchina burocratica e non solo.
Allo stato attuale si valuta che siano circa 6000 gli uomini del califfato nell’area di Sirte.
Visti gli ultimi sviluppi di cui abbiamo parlato circa un Governo di Unità Nazionale considerato imposto dall’ONU e poco efficace, è plausibile ipotizzare che vi sia una migrazione di massa verso le file dello Stato Islamico di quelle milizie scontente del nuovo assetto politico della Libia?
E’ possibile che, qualora Tripoli non venga coinvolto nei tavoli di pace, vi sia un “trasloco” di massa verso le fila dello Stato Islamico – come in precedenza accennato – che include le fazioni contrarie a Serraj e un’aliquota della popolazione.
Daesh ha un rilevante ascendente su coloro che non hanno occupazione perché offrono denaro e una posizione stabile, una sorta di occupazione.
Il futuro della Libia, allo stato attuale, è in salita: occorre una valida e credibile alternativa all’arruolamento dello stato islamico.
Conclusioni.
Gli interessi petroliferi presenti nel Paese – le più grandi riserve petrolifere dell’Africa – lo hanno reso una fonte inesauribile di approvvigionamenti non solo per le fazioni terroristiche in lotta tra loro ma anche e soprattutto per gli “appetiti” dei paesi occidentali.
Per conseguire l’arduo obiettivo della pacificazione e sostenere il popolo libico nella ricostruzione politica ed economica del Paese, a prescindere dal tipo di governo – monarchico o repubblicano – si ritiene necessario proseguire sulla strada della mediazione, tramite:
- invito, a tutti gli attori internazionali, a congelare temporaneamente i loro rispettivi interessi, cessando di sostenere e di alimentare con armi e denaro le varie fazioni che sponsorizzano;
- rimozione di veti per interessi incrociati di potenze estere, ivi comprese quelle europee che, nonostante il regime dispotico di Gheddafi, hanno continuato a gravare sull’area sotto forma di protettorato latente. La “deriva” attuale è anche conseguenza della loro miopia strategico-politica e della loro insaziabilità – per anni si sono contese il dominio coloniale dell’area mediterranea – perché colpite anch’esse dalla crisi finanziaria del 2009, con il tentativo di sottrarre all’Italia risorse preziose per la sua economia cercando di targare “TOTAL” e “BP” le royalties detenute da ENI;
- ricerca ed acquisizione del consenso della popolazione – nessun compromesso può reggere qualora se ne calpestino le aspirazioni – al fine di convogliare opportunamente il malcontento per replicare alle sfide, che il popolo stesso sta affrontando, che determineranno il successo o il fallimento della transizione verso la democrazia;
- avvio del processo di riconciliazione nazionale, a premessa del dialogo per la riconciliazione politica, aggregando un’ampia coalizione delle varie forze politiche, per stimolare l’opinione pubblica a sostenere la pacifica risoluzione dei conflitti, la definizione di strutture formali dello Stato ed il rispetto dei diritti civili e umani fondamentali;
- recupero, nel più breve tempo possibile, della legittimità persa dando concreta attuazione a progetti esecutivi nei settori della sicurezza, della salute, dell’istruzione, delle infrastrutture e delle riforme politiche;
- sostegno, nei confronti delle associazioni e confraternite islamiche, degli elementi di conciliazione e pacifica convivenza ribaditi, al ritorno dal viaggio in Turchia, da Papa Francesco che rivolto ai leader politici e religiosi islamici ha – tra l’altro – detto: “Condannate chiaramente il terrorismo, l’Islam è un’altra cosa”. “Il Corano è un libro profetico di pace”, in modo che la politica torni a prevalere sulle milizie armate che al momento controllano la base sociale del Paese.
In definitiva, uno dei principali sbocchi sul Mediterraneo non può essere etichettato come il classico Stato fallito e lasciato al miglior offerente: dalla Libia dipendono la stabilità regionale e la sicurezza del bacino mediterraneo – l’area geopolitica, a livello globale, più importante ed allo stesso tempo più difficile – entrambe fondamentali per il futuro assetto dell’Europa.
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